Sfruttamento e resistenza degli operai migranti
di Pun Ngai (2012)
Dietro le vetrine del Made in China si intravede ben poco delle condizioni di vita e di lavoro di quanti producono nell’Officina del mondo. Questo libro di Pun Ngai e di vari coautori getta un fascio di luce sulle condizioni delle operaie e degli operai cinesi ormai inseriti nel capitalismo globale. Non dalla campagna alla città, ma dalle campagne alle enormi fabbriche-dormitorio: questo è l’attuale destino per i migranti interni in Cina, un destino che trova una forte ed epocale contestazione. Con l’ingresso dell’economia cinese nell’arena internazionale alla fine degli anni Settanta, lo stato e in generale la sfera pubblica si sono progressivamente disimpegnati dall’area della protezione sociale, con la conseguenza di un ritorno a condizioni di lavoro tipiche di un passato che non passa, sebbene dissimulate da prodotti ad alta tecnologia. Perduta la comunità originaria, gli ex contadini inurbati nelle periferie delle metropoli hanno creato nuovi legami in un processo di proletarizzazione tutt’altro che concluso. Se le prime generazioni di migranti chiedevano senza rivendicare, le nuove generazioni vivono un’enorme divaricazione tra le aspettative di vita e le esperienze di lavoro, e rivendicano. Con o senza una contrattazione formale, questa forza lavoro ha così tentato e in parte è riuscita a porre dei limiti allo sfruttamento. Nel colossale processo di inurbamento e di industrializzazione, quella cinese è una classe operaia presente a se stessa.
Vengono qui esaminati i temi delle grandi migrazioni interne verso l’industria, del regime di fabbrica-dormitorio per le giovani e i giovani migranti, della radicalizzazione degli scioperi della nuova classe operaia e delle sue insorgenze collettive. Inoltre sono affrontati sia lo spinoso tema del sub’appalto e della violenza che lo accompagna, sia quello dello sfruttamento nelle punte di diamante dell’elettronica, come ad esempio alla Foxconn (azienda fornitrice della Apple), dove le neoassunte devono firmare l’impegno a non suicidarsi.
I diversi saggi guardano con altri occhi al miracolo del capitale in versione cinese, alle trasformazioni dello stato e alle forme delle lotte operaie. Si è lontani dalla «società armoniosa» della propaganda ufficiale. La divergenza tra il successo dell’accumulazione e le condizioni di lavoro nelle fabbriche verdi rimanda a un’instabilità che non è sanabile con la pur meritevole recente riforma del Codice del lavoro. Dall’interno della Cina e grazie alle ricerche sul campo coordinate da Pun Ngai, il volume porta alla conoscenza del pubblico italiano un’esperienza collettiva di enormi dimensioni che è sempre più connessa al nostro presente e ancor più al nostro futuro.
Pun Ngai è professore associato alla Hong Kong University of Science and Technology e vicedirettrice del Social Service Research Center di Pechino. Dopo gli studi in Cina ha compiuto il percorso di PhD presso la SOAS a Londra (1998), innestando nel ricco filone di studi sociali cinesi le tematiche elaborate dalla social history fondata da Edward P. Thompson a partire dagli anni Sessanta. Tra le sue pubblicazioni più significative, Made in China. Women Factory Workers in a Global Workplace (Duke University Press, 2005). Numerosi articoli e saggi sono inoltre stati pubblicati in importanti riviste internazionali quali Work, Employment and Society; The Third World Quarterly; Modern China; Global Labor Journal.
Le spine del lavoro liquido globale di Ferruccio Gambino e Devi Sacchetto (2012). Introduzione a Pun Ngai, Cina, la società armoniosa. Sfruttamento e resistenza degli operai migranti (2012). Questo libro è un esercizio di avvicinamento a una condizione umana che in occidente è più rimossa che sconosciuta. In particolare, la discussione delle tendenze in atto nella Cina attuale sembra una foglia composta, della quale si fatica a leggere la nervatura che l’alimenta, ossia il sistema cinese della residenza. Dai primi anni 1950 tale sistema (户口 hukou) ha separato la popolazione rurale da quella urbana in termini economici e politici dividendola orizzontalmente in due classi di cittadinanza, di cui quella inferiore era in larga misura, anche se non completamente, bloccata nelle campagne.